Con la recente sentenza n. 8114 del 14 marzo 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso.
La fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte origina da una richiesta risarcimento dei danni presentata dagli eredi un paziente, in conseguenza dell’asserita responsabilità dei sanitari dell’azienda ospedaliera convenuta, avendo gli stessi colpevolmente trascurato l’approfondimento diagnostico delle condizioni de cuius e avendo omesso di adottare gli opportuni presidi terapeutici di carattere farmacologico (segnatamente la somministrazione di eparina) indispensabili al fine di impedirne il decesso.
La Suprema Corte ha innanzitutto affermato come, la verifica del nesso causale tra la condotta omissiva e il fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità (positiva o negativa) del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto.
Un giudizio di siffatta specie deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non“, conformandosi a uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).
Nel caso di specie, il giudice a quo non avrebbe dovuto esigere una prova certa dell’efficacia salvifica del trattamento eparinico, bensì avrebbe dovuto orientare il giudizio sull’efficacia degli elementi probatori acquisiti nella prospettiva della preponderanza dell’evidenza, ossia della maggior probabilità (in termini logici o ‘baconiani’) del successo terapeutico della somministrazione di eparina rispetto all’esito contrario.
Una volta stabilita la relazione causale in esame sulla base dello standard probatorio indicato, la corte territoriale avrebbe dovuto approfondire in modo adeguato e scrupoloso gli indici istruttori utili al fine di attestarne (o di negarne) la concreta responsabilità colposa (ai fini civilistici) in relazione al decesso del paziente.
Avendo la Corte di appello svolto il proprio ragionamento, in termini di causalità, esclusivamente in relazione al parametro probatorio configurato sul metro della certezza oltre ogni ragionevole dubbio, la sentenza impugnata è stata cassata sul punto, e la causa nuovamente rimessa al giudice del rinvio.
Autore: Avv. Francesca Santarcangelo
06.4203681