Con pronuncia n. 25731 dello scorso 22 settembre 2021, la Corte di Cassazione si è soffermata sull’obbligo di comunicazione preventiva, previsto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nel caso di utilizzo di dati derivanti da comunicazioni con strumenti aziendali.
Nel caso di specie, in occasione di un controllo effettuato per la conservazione e manutenzione dei dati aziendali, sono stati portati alla luce alcuni messaggi inviati da una lavoratrice sulla chat aziendale. Il contenuto offensivo e discriminante di questi, nei confronti della superiore gerarchica e di altri colleghi, è stato motivo del suo licenziamento. Su ricorso presentato dalla lavoratrice, sia il Tribunale di Busto Arsizio che la Corte di appello di Milano si sono espressi dichiarando l’insussistenza della giusta causa del licenziamento, quindi è stata disposta la reintegrazione della dipendente ed il riconoscimento di un’indennità risarcitoria in suo favore.
Avverso tale conclusione, la società ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo che non vi sarebbe stato alcun controllo diretto sull’attività della lavoratrice, meritevole della protezione di cui all’art. 15 della Costituzione sulla corrispondenza privata, bensì si tratterebbe del c.d. controllo difensivo a tutela dell’immagine aziendale. Inoltre i messaggi erano stati inviati durante l’orario di lavoro tramite il pc aziendale offerto in dotazione per le sole comunicazioni di servizio; secondo la tesi aziendale ciò costituiva un inadempimento delle obbligazioni lavorative. La questione è arrivata al vaglio della Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul tema del possibile utilizzo delle informazioni derivanti dalle comunicazioni con dispositivi aziendali.
In primis la Suprema Corte ha statuito che la contestazione originaria mossa alla lavoratrice atteneva esclusivamente al contenuto offensivo della chat aziendale, senza che fosse stata contestata alcuna inadempienza lavorativa anche con riguardo all’anomalo utilizzo dei beni messi a disposizione dall’azienda stessa. Nel sistema processuale è principio consolidato quello secondo cui in sede di legittimità non è più possibile proporre nuove questioni di diritto o modificanti il thema decidendum definito nella fase di merito; per questo la nuova questione sull’inadempimento lavorativo è stata dichiarata inammissibile.
Sulla base del medesimo principio è stata dichiarata inammissibile altresì il motivo avanzato dalla datrice di lavoro relativo alla qualifica di c.d. “controllo difensivo”; ciò in ragione dell’originaria natura del controllo per questioni esclusivamente tecniche e di manutenzione del sistema informatico e non anche difensive per un accertamento dell’azione della lavoratrice.
Infine, con riguardo la raccolta dei dati la Corte ha stabilito una loro inutilizzabilità per mancata comunicazione preventiva della soppressione della chat aziendale. Proprio su questo punto si è soffermata l’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour ossia sulla necessità della previa informazione dei dipendenti circa la gestione dei dati derivanti dall’utilizzo degli strumenti di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. In tal caso gli elementi che devono essere identificati sono due: a) lo strumento aziendale e b) la comunicazione preventiva. Sul primo punto non sussistono dubbi posto che la chat, essendo funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa, può essere qualificata come strumento aziendale (art. 4 co.2. L.300/1970).
Sul secondo presupposto, è lo stesso comma 3 dell’art. 4 a prevedere l’utilizzabilità dei dati raccolti salvo che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli. Nella fattispecie in oggetto, la Corte ha rilevato come tale presupposto non sia stato soddisfatto vista la tardività della comunicazione, avvenuta quando l’azione di controllo era stata già effettuata, andando così a escludere l’utilizzabilità dei dati per violazione dell’art. 4 dello St. lav.
Nel prosieguo del suo ragionamento la Corte ribadisce, con riferimento ad un precedente giurisprudenziale (sent. Cass. n. 26682/2017), che anche nell’ambito dei ‘controlli difensivi’ (nonostante la fattispecie in oggetto non sia stata qualificabile in tal modo) necessita l’informazione preventiva dei dipendenti circa la registrazione dei dati.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha statuito che non era possibile per il datore di lavoro avvalersi delle comunicazioni della chat aziendale come motivo di licenziamento, a causa della mancata comunicazione preventiva del loro utilizzo. La Suprema Corte ha dunque confermato la reintegrazione della lavoratrice sul posto di lavoro e condannato l’azienda al risarcimento dei danni subiti.